Trent’anni fa lo scandalo del vino al metanolo
Il più grave scandalo nel settore del vino risale a trent’anni fa, in Italia: è l’episodio del vino al metanolo che nel marzo 1986 provocò 23 vittime con decine di persone con lesioni gravissime (perdita della vista) a causa delle intossicazioni causate dalla pratica di aumentare la gradazione alcolica del vino con il metanolo o alcool metilico, un alcool naturale che è notevolmente tossico.
Il sospetto aveva preso corpo nei primi giorni di marzo, il 3 e il 5 del mese, infatti, morirono due uomini per una intossicazione da metanolo. Il primo aveva 47 anni, il secondo 57, entrambi erano di Milano. I Carabinieri che avviarono le indagini scoprirono che i due milanesi erano entrambi degli abituali consumatori di un vino Barbera prodotto da una cantina della provincia di Asti.
Il sospetto dei Carabinieri fu poi confermato quando, una quindicina di giorni dopo un’altra persona di 51 anni morì nell’ospedale di Niguarda per un’intossicazione. Anche nella sua dispensa furono trovate bottiglie di Barbera. Altre due persone che avevano bevuto lo stesso vino furono ricoverate tra la vita e la morte. Avevano brindato a una festa di compleanno. Sempre in quei giorni la prima intossicata donna fu ricoverata al Niguarda. Per tutti, stesso vino ingerito, proveniente da Asti, che era normalmente in vendita nei supermercati.
Le vittime avevano bevuto vino proveniente e prodotto dalle cantine della ditta Ciravegna di Narzole in provincia di Cuneo, vino a cui i titolari, padre e figlio Ciravegna, avevano aggiunto dosi elevatissime di metanolo per alzare la gradazione alcolica, ignorandone la tossicità per l’organismo. D’altra parte il metanolo si ottiene in maniera naturale dalla fermentazione dell’uva e quantità esigue di esso sono quindi considerate normali ma una dose eccessiva può rivelarsi letale, come nel caso occorso.
Il vino avvelenato prodotto dai Ciravegna venne imbottigliato e successivamente commercializzato dalla ditta Vincenzo Odore di Incisa Scapaccino in provincia di Asti e venduto nei supermercati Gs, Esselunga e Coop.
Era il 18 marzo 1986 quando l’ANSA batte la notizia che, in seguito alle segnalazioni di alcuni casi di avvelenamento registrati a Milano, fu dato l’incarico al sostituto procuratore della Repubblica Alberto Nobili di fare luce su quello che sarebbe stato un clamoroso scandalo del settore alimentare: il vino al metanolo.
Dopo pochi giorni le autorità italiane resero nota la marca dei vini che avevano causato i primi casi di avvelenamento: si trattò del Barbera da tavola e bianco da tavola imbottigliato dalla ditta di Carlo e Vincenzo Odore (foto), titolari della società in nome collettivo di Incisa Scapaccino (Asti).
Accertamenti di laboratorio, eseguiti dall’Istituto di medicina legale e dall’Ufficio provinciale di igiene e profilassi di Milano, su campioni di vino prelevato sia nei supermercati che presso la ditta produttrice, rivelarono la presenza di alcool metilico in quantità superiore a quella prevista dalla legge.
Dalla Procura partirono comunicazioni giudiziarie per le ipotesi di reato di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, violazione dell’art. 22, comma 2, lett. d) del D.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162 Norme per la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio dei mosti, vini ed aceti che fissa i limiti massimi entro i quali deve essere contenuta la quantità di alcool metilico nel vino (0,30 millilitri ogni cento millilitri nel rosso e 0,20 nei bianchi).
Dopo i primi ricoveri all’ospedale Niguarda di Milano, fu il caos. All’epoca il ministro dell’Agricoltura era il democristiano Filippo Pandolfi, che apparve in tv cercando di tranquillizzare la gente. I giornali pubblicavano liste di vini proibiti. Pandolfi riferì, davanti alla commissione Agricoltura del Senato, che in Italia circolavano circa 600 mila litri di “vino-killer”. Pandolfi ammise che nelle indagini sul vino al metanolo si erano perduti giorni preziosi: la prima ipotesi considerava solo la presenza di partite di vino bianco tramutato in rosso con l’aggiunta di infime quantità di alcool metilico. Solo le analisi chimiche approfondite alzarono il velo sull’entità della frode tossica.
Le autorità sanitarie, a loro volta, diedero comunicazione che solamente con forti assunzioni di vino – più di 1 litro al giorno – si sarebbe potuti andare incontro a disturbi gravi, mentre nelle quantità normali – 1 o 2 bicchieri a pasto – non si sarebbero incontrate conseguenze rilevanti.
I segni caratteristici dell’intossicazione da alcool metilico furono:
- perdita di coscienza fino al coma
- disturbi visivi fino alla cecità
- acidosi metabolica.
Il 24 marzo 1986 una nave cisterna italiana, venne sequestrata a Sète in Francia. Il carico di vino della nave cisterna italiana Kaliste fu messo sotto sequestro in quanto il vino trasportato della ditta Antonio Fusco di Manduria (Taranto) venne sospettato di contenere metanolo, come poi fu accertato con analisi più approfondite. A distanza di pochi giorni, vennero arrestati i titolari della ditta Ciravegna della provincia di Cuneo, per aver fornito vino al metanolo (Giovanni Ciravegna è poi condannato a 14 anni di carcere) mentre in Germania, nella regione del Baden Wuerttemberg, il Ministero della sanità fece sequestrare 500 bottiglie di Barbera d’Asti che presentavano – all’analisi – un contenuto di 6.7 grammi di metanolo per litro, prodotti dall’azienda vinicola Giovanni Bianco di Castagnole Lanze in Piemonte.
Il 2 di aprile i morti erano già saliti a 15, ma il bilancio complessivo di quella vera e propria strage fu di 23 morti e 19 persone rimaste cieche.
Già nel 1984 l’Ispettorato centrale repressione frodo (ICRF) di Treviso contestò alla ditta Ciravegna un uso improprio ed eccessivo di metanolo. A seguito del controllo e delle analisi condotte fu eseguito un sequestro preventivo e partì contestualmente una denuncia penale della quale non si ebbe più traccia, tanto che i titolari continuarono a produrre vino indisturbati fino all’evento drammatico.
L’anno 1984 è stato l’anno cruciale per questa frode. Infatti fino ad allora nessuno aveva pensato di ricorrere a tale pratica di sofisticazione perché fino a quel momento mancava la convenienza economica dell’operazione illecita.
Questo tipo di adulterazione del vino diviene, infatti, conveniente con l’emanazione della l. 28 luglio 1984 n. 408 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 giugno 1984, n. 232, concernente modificazioni al regime fiscale per gli alcoli e per alcune bevande alcoliche in attuazione delle sentenze 15 luglio 1982 e 15 marzo 1983 emesse dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nelle cause n. 216/81 e n. 319/81, nonché aumento dell’imposta sul valore aggiunto su alcuni vini spumanti e dell’imposta di fabbricazione sugli alcoli che ha detassato il metanolo e lo ha sottratto alla vigilanza degli uffici finanziari, con la conseguenza che il costo del metanolo diviene, in proporzione, dieci volte inferiore a quello dell’alcol etilico.
Alcuni produttori e commercianti spregiudicati approfittando delle carenze nel sistema di controllo sugli alimenti decidono, dunque, di conseguire il massimo profitto con il minimo costo della materia prima e con il minor rischio di essere sorpresi in flagranza, perché la sofisticazione attuata con il metanolo in alternativa allo zucchero, avviene in uno spazio temporale brevissimo e tale, quindi, da ridurre al minimo il pericolo di controlli a sorpresa. Dalla metà di dicembre 1985 al marzo 1986 fu infatti impiegata una quantità di metanolo di circa 2 tonnellate e mezzo.
A seguito dello scandalo, il Governo assunse una serie di provvedimenti d’urgenza, destinati a rendere più efficace l’azione di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari. Il 12 aprile 1986 il Ministero della Sanità emanò l’ordinanza n. 267900 Misure cautelative urgenti di tutela della salute pubblica dirette ad evitare il rischio di immissione al consumo di vini adulterati con metanolo, con la quale si vietava la distribuzione, la vendita e somministrazione dei vini prodotti o commercializzati da un elenco di aziende riportate in allegato al provvedimento e cioè le ditte inquisite per adulterazione con metanolo e le ditte i cui campioni evidenziarono all’analisi, un contenuto superiore ai limiti di legge e i cui prodotti furono soggetti a sequestro cautelativo. Venne poi emanato il D.L. 18 giugno 1986 n. 282 recante Misure urgenti in materia di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1986 n.462 (tuttora vigente) con la quale si istituì l’anagrafe vitivinicola su base regionale, destinata a raccogliere per ciascuna delle imprese che producevano, detenevano, elaboravano e commercializzavano uve, mosti, mosti concentrati, vini, vermouth, vini aromatizzati e prodotti derivati, i dati relativi alle rispettive attività.
Vennero potenziati, inoltre, i servizi di controllo aumentando gli organici dei NAS, gli uffici periferici delle dogane e si istituì presso l’allora Ministero dell’agricoltura e delle foreste, l’Ispettorato Centrale Repressione Frodi (oggi ICQRF) articolato in uffici interregionali, regionali e interprovinciali. Alla fine dell’anno fu poi istituita l’Age-Control s.p.a. con il compito di controllare gli aiuti comunitari al fine di prevenire le frodi nei settori che beneficiano delle provvidenze comunitarie tra cui è compreso anche il vino.
“Quello che è accaduto dopo nel vino italiano, rappresenta una straordinaria metafora del passaggio, ancora in corso non solo nel vino, ma in tutto il sistema produttivo italiano, da un’economia basata sulla quantità ad un’economia che punta invece su qualità e valore. Anche se molto resta da fare, dopo il metanolo, il mondo del vino e dell’agroalimentare made in Italy ha saputo infatti risollevarsi, scommettendo sulla sua identità, sui legami col territorio, sulle certificazioni d’origine”